Nel nostro pianeta esistono luoghi inospitali, dominati da condizioni estreme: sorgenti geotermali dove l'acqua sfiora l'ebollizione, aree vulcaniche sature di gas acidi, o fondali oceanici soggetti ad elevate pressioni. Eppure, questi ambienti sono popolati da una sorprendente e invisibile biodiversità microbica, composta da Archaea e Batteri specializzati, noti come estremofili. Questi abitanti resilienti hanno sviluppato strategie biochimiche uniche per prosperare là dove altre forme di vita soccomberebbero.
Il segreto della loro sopravvivenza, e il loro valore per noi, risiede negli enzimi che producono. Questi catalizzatori biologici, detti estremozimi, non sono solo efficienti, ma mantengono la loro funzionalità in condizioni estreme di temperatura, pH o pressione che distruggerebbero enzimi convenzionali. Questa eccezionale stabilità li rende una risorsa preziosa per l'innovazione, in particolare in un’ottica di sostenibilità. L'utilizzo di estremozimi in processi industriali (dalle bioraffinerie per produrre biocarburanti da scarti, al biorisanamento per degradare inquinanti come plastiche o idrocarburi) permette infatti di operare in modo più efficiente, riducendo il consumo energetico e l'impiego di sostanze chimiche potenzialmente dannose.
I ricercatori del National Biodiversity Future Center (NBFC), Marco Moracci, Andrea Strazzulli e Roberta Iacono dell’Università degli Studi di Napoli Federico II vantano una lunga esperienza dello studio degli estremozimi da ambienti geotermali. Recentemente, l’attività di ricerca sulla biodiversità microbica e sul potenziale enzimatico della solfatara Pisciarelli (Napoli) è stata presentata al 14th Congresso Internazionale sugli Estremofili “Extremophiles 2024”.
L'interesse per gli estremozimi, tuttavia, si estende inaspettatamente anche al campo biomedico, svelando connessioni sorprendenti. Uno studio recente del team, pubblicato sul Journal of Enzyme Inhibition and Medicinal Chemistry e intitolato “A stable GH31 α-glucosidase as a model system for the study of mutations leading to human glycogen storage disease type II", ne è una chiara dimostrazione. Il lavoro affronta la malattia di Pompe, una patologia genetica rara dovuta a mutazioni che rendono difettoso l'enzima umano α-glucosidase (GAA), portando all'accumulo di glicogeno. Studiare direttamente le versioni mutate dell'enzima umano è estremamente complesso a causa della sua intrinseca instabilità. Per aggirare questo ostacolo, i ricercatori dell'NBFC hanno utilizzato un enzima analogo (MalA), prodotto dal microrganismo ipertermofilo Saccharolobus solfataricus, come sistema modello. Introducendo in MalA una mutazione (R400H) che mima una delle più gravi varianti umane (R600H), hanno potuto, grazie all'eccezionale stabilità dell'estremozima, produrlo, purificarlo e studiarne in vitro le caratteristiche funzionali e strutturali in dettaglio. Questo approccio non solo fornisce uno strumento prezioso per comprendere i meccanismi molecolari alla base della malattia, ma apre anche la via per testare l'efficacia di potenziali terapie farmacologiche direttamente sull'enzima chiave per la patologia.
Dott.ssa Roberta Iacono durante il congresso “Extremophiles 2024” presso Loutraki (Grecia) | Solfatara Pisciarelli (NA) dove è stato isolato per la prima volta il microrganismo Saccharolobus solfataricus. |
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